Il mio percorso personale nello Sciacchetrà per capire l’amore e la passione che questo “nettare delle Cinque Terre” richiede per essere prodotto.
Ho avuto la fortuna e il piacere di poter assistere personalmente al rituale di preparazione dello Sciacchetrà di Luciano De Battè, vignaiolo di vocazione e appassionato storyteller del vino per amore di questa terra e del suo prodotto. Innanzitutto è importante ricordare che la vendemmia dello Sciacchetrà non è ogni anno perché occorre avere una buona annata, dalla quale si selezionano, verso fine Agosto/primi di Settembre i grappoli più belli e non completamente maturi.
Dopodiché vengono trasportati delicatamente in cantina (in ceste non troppo piene) e qui sono appesi, uno ad uno, tramite ganci, al soffitto di un ambiente arieggiato e poco soleggiato.
Alla domanda: “Ma quanto devono restare appesi?”, Luciano mi guarda e risponde: “E’ la natura che me lo dice. Quando arrivano le api a mangiare gli acini, capisco che è il momento opportuno per fare lo Sciacchetrà”. Allora con assoluta cautela, prende una scala e toglie ad uno ad uno i grappoli dolcemente appassiti e li rovescia in un tinee (contenitore con un grande diametro, avente un bordo non più alto di 30 cm). Mi mostra i grappoli, indicandomi che quando gli acini sembrano "di velluto", allora l’appassimento è ben riuscito. Io assisto con stupore ed ammirazione, ricordandomi quando, nella cantina di mio nonno, in religioso silenzio osservavo la preparazione di questo pregiato vino. Il rito prosegue: Luciano indossa gli stivali di gomma (rigorosamente usati solo in questo contesto) e, come gli hanno insegnato i suoi genitori, inizia a schiacciare i grappoli con i talloni. L’odore che si sprigiona è qualcosa di inaspettato, odore di bosco ed erbe aromatiche. Man a mano il profumo si fa più intenso, zuccherino. Quando il composto è ben amalgamato, Luciano inizia a togliere i raspi e con “un’antica e capiente casseruola da cucina” travasa il mosto dal tinee alla barrique, servendosi di un piccolo imbuto.
E poi? Inizia la magia della trasformazione dello zucchero in alcool e quel composto denso come una marmellata diventa un vino quasi limpido. Dopo una ventina di giorni circa, con la gliesena (un piccolo strumento) apre un piccolissimo buchino, presente nella parte frontale della botte, per far uscire un po’ di vino. Lo osserva e lo assaggia e, solo se è limpido e non eccessivamente zuccherino, è pronto per il passaggio successivo. Tramite la gliesena fa uscire tutto il vino, in modo che la parte solida rimanga all’interno della barrique e lo travasa in damigiane di vetro (o in un’altra botte). La fermentazione continua e si lascia depositare la parte solida prodotta. Dopo aver ripulito una seconda volta la botte lo si lascia affinare nelle bottiglie di vetro.
Quando è pronto e lo sia assaggia, basta un solo sorso per innamorarsi.
APPROFONDIMENTI
Origine del Nome Sciacchetrà
Ci sono due versione. Secondo alcuni la parola Sciacchetrà, che ha una settantina di anni circa, deriva dal dialetto locale “Sciacca e trà”, ovvero schiaccia e tira via (le bucce, ndr). Però questa definizione non appare propriamente corretta in quanto, quando si schiacciano i grappoli appassiti il mosto è così denso che è difficile separarlo dalle bucce e viene fatto fermentare insieme per una ventina di giorni circa.
La seconda versione, la più plausibile, ritiene che il termine derivi dalla parola ebraica “Shekar” che indicava una bevande alcolica pregiata. Prima che il termine Sciacchetrà fosse coniato, veniva chiamato Rinfurzà, dal dialetto ligure, rinforzato, ovvero un vino più forte e alcolico da bere soprattutto in occasioni speciali. Prima dell’arrivo dell’uva “Bosco”, per produrre lo Sciacchetrà, veniva utilizzato il Rossese bianco, vitigno molto delicato e poco produttivo, che sta quasi scomparendo. Il Bosco, importato da Genova, ha sostituito questo vitigno, più resistente e generoso fu piantato e soprannominato “paga-dibiti”, in quanto cresceva in abbondanza e consentiva di produrre più bottigliedi vino.
Uvaggio dello Sciacchetrà
Oggi lo Sciacchetrà si produce con uva Bosco (90%), Vermentino ed Albarola (10%).
Durata dello Sciacchetrà
Lo Sciacchetrà è un vino che può durare fino e oltre i 20 anni. Un vino che nella tradizione Cinqueterrina veniva regalato ai nascituri e poi consumato al raggiungimento della maggiore età o in occasione del matrimonio. Quando aprite una bottiglia di Sciacchetrà assicuratevi che sia l'occasione giusta e indimenticabile.
Dove trovarlo?
Nel 2018 abbiamo inaugurato la nostra linea di Sciacchetrà in collaborazione con Cantina 5Terre: Sciacchetrà 2018 - Nessun Dorma Edition
Con che cosa abbinarlo?
Perfetto con la pasticceria secca o lievitati come il panettone tradizionale. Per chi piace, l'abbinamento ideale è con formaggi di capra. Attenzione all'annata. Lo Sciacchetrà più è invecchiato più diventa un vino da meditazione, da assaporare senza troppe distrazioni.
Dove assaggiarlo?
Ogni anno da Marzo ai primi di Novembre organizziamo visite nei vigneti a picco sul mare di Manarola e degustazioni in Cantina per scoprire tutti i secreti di questo vino unico.
Com'è stata la vostra prima volta con lo Sciacchetrà?
Scriveteci in DM su @nessundormacantina o email a nessundormacinqueterre@gmail.com
Photo Credits: @mattandgrace
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